Ancona, 15 ottobre “Basta pagare!”

2000 persone alla manifestazione contro carovita, crisi energetica e climatica, ad un mese dal nubifragio del 15 settembre

Ad un mese dall’alluvione che ha colpito la nostra regione, ieri, sabato 15 ottobre, c’è stata una prima importante, popolare, non scontata risposta di massa.
Le persone che nell’alluvione hanno perso tanto, a volte tutto, in corteo, fianco a fianco, con i movimenti sociali che si battono per la giustizia climatica e contro la devastazione del territorio, i movimenti contro il carovita ed il caro bollette.
Lotte sociali, ambientali, sindacali e antirazziste insieme in un lungo corteo che si è mosso dalla Fiera della Pesca fino a Piazza Roma.

Una piazza che è stata in grado di praticare da subito, fin dalla sua chiamata due settimane fa, una convergenza reale che si è espressa in modo diretto e concreto nelle parole d’ordine della giornata: non possono essere i territori ed i suoi abitanti a pagare la devastazione ambientale risultato di un sistema economico globale che mette al centro la rapina e il profitto di pochi e le scelte politiche nazionali e locali guidate da tornaconti elettorali miopi e scellerati, ai danni della tutela del territorio, della salute e della sicurezza di chi lo abita e del suo tessuto sociale.
Non può scaricarsi verso il basso il peso di scelte politiche ed economiche, geopolitiche e sociali a livello globale e nazionale che ci impongono precarietà e povertà, guerra e costante paura.
Non possiamo e non vogliamo pagarle noi le loro responsabilità.

La concretezza di queste parole d’ordine, ieri, si è materializzata nella ricchezza numerica, quasi 2000 persone, e nella composita ricchezza del corteo che ha tenuto insieme rivendicazioni territoriali, dettate dalla situazione “post” alluvione, dalle istanze specifiche della nostra regione con proposte politiche ampie e complessive, con una prima consapevolezza, ancora tutta da costruire e definire, della necessità di un radicale cambiamento economico e sociale.

Una piazza che ha rivendicato risarcimenti e ricostruzione subito, prevenzione e messa in sicurezza del territorio, abbandono di opere inutili come il Consorzio di Bonifica dei fiumi Misa e Nevola, laghi artificiali e nuove piste da sci alimentate con neve finta per trasformare il nostro Appennino in un luna park.
Lungo le vie di Ancona si è alzato forte l’urlo di rabbia dei comitati di Falconara che da anni si battono per la tutela del territorio, la salute degli abitanti e l’incolumità di lavoratori e lavoratrici di quel mostro chiamato API, oggi chiamato a dover rispondere dei disastri ambientali di cui è responsabile.

Una piazza che ha rivendicato l’urgenza dell’uscita dal meccanismo del fossile e degli idrocarburi e dalla scelta, tutta politica, di trasformare l’Italia nell’hub del gas europeo. Battaglie ambientali e sociali, che negli anni si sono espresse nelle lotte della Campagna Per il Clima Fuori dal Fossile e nei conflitti della rete nazionale contro i rigassificatori, dalla Puglia all’Emilia Romagna al Veneto, fino a Piombino, dove da mesi è in corso una lotta popolare contro il progetto di rigassificatore Snam dentro il porto della città. Proprio ieri, dalla piazza, i comitati di Piombino hanno rilanciato una due giorni di assemblea nazionale “Noi non ci arrendiamo” per il 19 e 20 novembre nella città toscana.

Dal camion il movimento dei disoccupati di Napoli ha indicato la prossima tappa per rilanciare e praticare la parola d’ordine del corteo #Bastapagare. Una grande manifestazione a Napoli per il 5 novembre.

Un lungo corteo che ha percorso le principali vie della città e non si è fermato di fronte alla gravissima, quanto inutile, provocazione della questura di Ancona che voleva bloccarlo a ridosso del corso cittadino per non farlo sfilare nelle vie del centro. Una provocazione, nonostante lo schieramento imponente e completamente sproporzionato di celere, camionette e agenti in borghese, rispedita immediatamente al mittente che non poteva che prendere atto della determinazione del corteo. Così doveva andare e così è andata.

Una giornata che ha saldato insieme lotte ambientali e lotte sociali, non poteva che terminare con un grande falò delle bollette: simbolo della speculazione di poche aziende, dei super profitti di pochi, dell’incapacità e della non volontà della politica di pensare realmente una radicale trasformazione di questo modello di sviluppo, incentrato sul fossile, sul gas, sulla rapina delle ricchezze comuni e sulla speculazione finanziaria.
Una giornata importante che deve essere necessariamente un inizio e non certo un punto di arrivo del protagonismo sociale e delle lotte reali, nei nostri territori come nel resto del paese.

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