Carcere, 41 bis, ergastolo. Ordinamento penale e pratiche di reclusione a partire dal caso Cospito
Pubblichiamo la registrazione audio degli interventi di Caterina Calia, legale di Anna Beniamino e Paolo Cognini, avvocato, in occasione dell’incontro pubblico ospitato dallo Spazio Autogestito Grizzly lo scorso 10 febbraio
Introduzione – Enrico, Spazio Grizzly
La lotta di Alfredo Cospito ha riaperto uno spazio politico, ma anche mediatico nel paese, di discussione e riflessione sull’abolizione di alcuni istituti di pena come il 41bis e l’ergastolo, ma più in generale sulla questione del carcere. Oltre a questo, vediamo come l’uso del diritto penale nei confronti delle lotte sociali sia sempre più sproporzionato, pericoloso ed invasivo, con un ricorso sempre maggiore al reato associativo. Di tutto questo stasera vogliamo parlare.
Primo intervento Paolo Cognini
Dobbiamo essere in grado di capire le strategie che si sviluppano nel contesto nel quale si produce la vicenda specifica di Alfredo Cospito, ma più in generale il discorso su ergastolo e 41bis. Dobbiamo essere in grado di porre una critica conflittuale, non “riparatoria”. Il problema da affrontare è la trasformazione del rapporto stato e società. Un processo lungo nel quale è in corso una ridefinizione complessiva che porta ad una radicale restrizione degli spazi, non solo politici, nella società che significa il dominio assoluto e assolutistico della legge per governarla. Quello che si da non riguarda alcuni istituti specifici di pena, ma la fine dello stato di diritto nella sua forma storica come prodotto di garanzie dato dal conflitto sociale. Questo processo ha una dinamica ed uno schema chiaro che si basa sull’utilizzo dell’emergenza, non specifica, ma una molteplicità di emergenze volte ad introdurre nell’ordinamento misure per restringere spazi di libertà e di autonomia nella società. La dinamica dell’emergenza non ha confini predefiniti. In Italia poi c’è un canale molto particolare che è quella dell’emergenza mafie. Tutte le misure di prevenzione che vengono comminate a chi lotta sono contenute nel codice antimafia. In Italia,inoltre, abbiamo un codice penale fascista, che permette un grande utilizzo “creativo” dei reati da parte delle magistrature, soprattutto di quelli che riguardano l’ ”attentato” alla personalità e alla sicurezza dello stato che è un retaggio specifico di quel codice.
Primo intervento Caterina Calia
Da tempo è in corso un imbarbarimento del diritto. Di fatto è in atto un doppio binario che porta ad escludere dai benefici di legge alcuni reati che sono compresi nell’articolo 4bis. Dobbiamo essere in grado di interrogarci sulla richiesta, come delega in bianco, di inasprimento delle pene anche per alcuni reati come ad esempio il femminicidio. Dobbiamo riuscire a capire che queste leggi liberticide andranno a colpire soprattutto le forme di dissenso e opposizione sociale.
La vicenda di Alfredo è emblematica di come l’applicazione del 41bis, ormai, non ha più nessuna aderenza agli scopi e al senso per cui era stato introdotto e cioè rompere i rapporti con l’organizzazione di appartenenza. Le motivazioni di rigetto dell’istanza per la revoca del 41bis di ieri da parte del ministro Nordio è basata sul reato di istigazione. Alfredo deve rimanere al 41bis perché con lo sciopero della fame usa il suo corpo come un arma, e quest’arma è stata raccolta all’esterno con una serie di episodi violenti, nonostante non ci sia alcuna organizzazione all’esterno. Il 41bis, in realtà, è un sistema finalizzato all’annientamento psico-fisico e a rinchiudere il dissenso sociale. L’errore di tutta la sinistra istituzionale, ma anche di una parte di quella antagonista, è non capire che di emergenza in emergenza si arriva allo smantellamento di diritti fondamentali e ad una violazione sistematica e radicale delle norme costituzionali. Inoltre, la vicenda di Alfredo è emblematica anche dal punto di vista processuale. Trasformare il reato di strage in strage politica, cosa mai successa, significa affermare che quel gesto era in grado di porre in essere un attacco alla sicurezza dello stato ed infatti vediamo come ormai questo si stia determinando anche per fatti assolutamente minori.
Enrico, Spazio Grizzly
Vorrei riprendere due spunti emersi fino ad ora. Dall’emergenze, come abbiamo visto, si passa alla stabilità di alcuni istituti nell’ordinamento giuridico e penale.
La questione dell’ergastolo, inoltre, mette bene in luce, la dinamica che la sott’ende. Per poter accedere a degli sconti di pena è necessario il pentimento, la collaborazione. “Barattare la proprio posizione con qualcun altro”, la chiama Musumeci. Tutto questo è solo un ricatto.
Secondo intervento Paolo Cognini
L’articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario, quello che fa l’elenco dei reati che sarebbero ostativi all’accesso alle misure alternative e ai benefici penitenziari nasce con un solo comma che riguardava le eventuali rivolte in carcere, poi si allunga ad oggi a dieci commi, ampliando enormemente la platea dei reati. Nella narrazione ufficiale viene veicolato il messaggio che esistono soggetti pericolosi che non devono accedere ai benefici. Questa stessa narrazione è smentita dall’articolo stesso che consente a chi collabora di accedervi. L’articolo 4bis è di per se la dimostrazione che la questione non è relegata la campo della pericolosità o della tutela sociale a cui puoi arrecare il danno ma è un meccanismo di controllo e gestione della repressione che prescinde dalla tua effettiva pericolosità. Decide che sei pericoloso se non collabori. Non è un approccio di tutela, ma di scambio di cui lo stato ne decide l’etica. Strumenti che hanno poco a che fare con la prevenzione, ma hanno a che fare con la ritorsione dello stato in termini di annientamento e annullamento.
Interventi dal pubblico
Conclusioni Caterina Calia
Dobbiamo ripartire dalla nostra storia. Noi veniamo da una storia d’insorgenza di un intera generazione. Noi non abbiamo più memoria della nostra storia, lo stato non dimentica e cerca di agire preventivamente, anche adottando termini come terrorismo che servono per mostrificare ogni forma di conflitto. La repressione è inversamente proporzionale al livello del conflitto.
Il 41bis viene agito anche verso l’esterno. E’ un monito a chi innalza il livello del conflitto, non ha nessuna di quelle funzioni previste dalla norma. Lo vediamo anche nella contestazione del 416bis, associazione a delinquere, che ha colpito la lotta per la casa, le lotte sindacali e le lotte sociali. Lo scopo è contestare alla radice la possibilità di organizzarsi legalmente e legittimamente.
Lo vediamo anche nel caso di Alfredo, dove c’è una totale criminalizzazione della solidarietà. In queste settimane abbiamo costruito una petizione contro l’ergastolo e 41bis,un percorso lungo e difficile, ma necessario. Rappresentano i due simboli del potere repressivo e se vogliamo ottenere qualcosa dobbiamo partire dal livello più alto perché contiene tutto quello che poi colpisce i movimenti e le lotte sociali. E’ uno strumento che ci consente di aprire un dibattito sull’involuzione del diritto che è sintomo dell’involuzione sociale.
Conclusioni Paolo Cognini
Il problema, come sempre, è capire come si muove il conflitto di classe in quest’epoca e quali sono le realtà organizzative che è possibile sviluppare dentro questo conflitto. Un reale processo di trasformazione nasce dalla capacità di riconquistare spazio e agibilità del conflitto di classe che pone il problema generale, ma dobbiamo anche fare un ragionamento molto serio su come riusciamo a garantire spazi di agibilità politica ai conflitti. Dobbiamo mettere in discussione profondamente e convintamente la cultura giustizialista dominante in questo paese, soprattutto quella che si presenta come demo progressista. Questa è una priorità.
Questa cultura è penetrata in maniera forte dentro le componenti di movimento.
Si è abdicato alla possibilità che ci possano essere risposte diverse rispetto a quelle precostituite dallo stato. La questione delle aggravanti, ad esempio quella di odio razziale è un esempio molto chiaro. Dietro questo meccanismo c’è la logica secondo cui l’elemento che ricostruisce la frattura del legame sociale che si e determinata è dato dal carcere. Il giustizialismo, anche quello più in buona fede, parte da questo ragionamento.