Maxiprocesso Torino, cade l’accusa di associazione a delinquere, crolla il teorema della procura
Un commento alla sentenza di primo grado del procedimento che mirava a colpire le realtà sociali torinesi con Martina, Csoa Askatasuna
Nella giornata di martedì 1 aprile è giunta la sentenza del processo denominato ‘Sovrano’ che vedeva imputati 28 militanti del Centro Sociale Askatasuna, dello Spazio Popolare Neruda e del Movimento No Tav. Assoluzione “perchè il fatto non sussiste” per l’imputazione di associazione a delinquere, che era stata già derubricata dalla prima formulazione di associazione sovversiva da parte degli inquirenti; in relazione alle singole condotte, invece, assoluzione per dieci persone ma assieme a condanne che variano da pochi mesi fino a quattro anni e nove mesi di reclusione.
Fin dalla prima mattinata centinaia di persone hanno presidiato il palazzo di giustizia, rimanendo per ore fino all’attesa del pronunciamento; questo nonostante il clima di allarmismo creatosi in città, da ultimo con l’ordinanza emessa dalla procuratrice generale, che per scongiurare tensioni, vietava la presenza a quanti fossero colpiti da misure preventive, e l’accesso in aula di “caschi, coriandoli e stelle filanti” (sic).
Un segno tangibile dell’attenzione generale attorno alla vicenda processuale e di come questa fosse avvertita nei termini di una responsabilità collettiva, perché erano le esperienze collettive di lotta che si volevano alla sbarra. In questo senso, l’assoluzione piena al capo 1 in merito al reato associativo non può che rappresentare una vittoria per i movimenti; in senso contrario, un’eventuale condanna avrebbe creato un pericoloso precedente, comparando la movimentazione sociale alla criminalità organizzata e segnato un salto di qualità nella repressione per via giudiziaria del dissenso.
Un risultato importante, nonostante il maxiprocesso esemplifichi già in sè quel processo di regressione della cultura giuridica nel nostro paese che si inserisce in un quadro più ampio di irreggimentazione della società in tempo di guerra e di restringimento degli spazi di espressione, di autonomia, di libertà.
Da qui nascono le motivazioni del rilancio della mobilitazione da parte di ‘associazione a resistere’, fino alla liberazione di tutte le compagne e i compagni raggiunti da condanne anche molto pesanti. E dalle ultime notizie che giungono dal laboratorio repressivo della città di Torino, con otto misure cautelari notificate all’alba di oggi dagli agenti della digos, fra arresti domiciliari e obblighi di firma, per fatti risalenti al corteo del 9 gennaio scorso per chiedere giustizia e verità per Ramy. La battaglia contro la criminalizzazione del dissenso non si può arrestare.
– Ascolta l’intervista con Martina, Csoa Askatasuna