Memoria

Strappando il sublime al cielo, Franco Piperno

L’assenza di Franco ci diminuisce. Con il coraggio delle stelle, ha illuminato il cammino della lotta per la giustizia sociale. Insegnando dal cosmo e agendo sulla terra, ha lasciato un’eredità di passione e impegno incancellabile per un mondo libero dallo sfruttamento di stato e padroni.

In suo ricordo, oltre all’omaggio di Claudio Dionesalvi, abbiamo scelto alcune delle sue parole.


Dalle colline innevate, ha osservato per l’ultima volta gli astri che amava scrutare, Franco Piperno. Sino all’ultimo istante, oltre all’affetto dei suoi cari e di compagne e compagni che mai lo hanno lasciato solo, pareva che ad accompagnarlo fossero le arcane creature e i corpi celesti di cui in vita s’è circondato: luminosissime la luna e Venere, ammiccanti i lupi dei vicini monti silani.
Piperno, uno scrutatore di stelle che amava il genius loci, di Claudio Dionesalvi – dal blog Inviato da nessuno

“Non credo in conseguenza che ci sia una specie di soggettività unica possibile; per me ovviamente non c’era neanche prima, neppure nel Medioevo c’è stata, però il ruolo centrale che giocava la soggettività operaia nell’Italia degli anni Sessanta (per dare un riferimento concreto) era legata all’essere al centro del processo di innovazione, che aveva delle forti conseguenze anche sull’immaginario. […] Perché poi le soggettività sono come dei protagonisti collettivi, in cui anche il singolo si identifica e attraverso questa identificazione si spiega il mondo e si sottrae pure alle paturnie del non-senso della sua vita. La soggettività allora è una di queste forme collettive che entrano nel simbolico e permettono al singolo di inserirsi in una cosa che lo rende organico a qualche altra; perché il dolore più forte non è quello della fatica e della disoccupazione ma è quello del non-senso, di essere cioè indotto in una condizione in cui il tempo ti scorre sotto il culo senza senso.”
Non c’è una via diversa dallo sperimentare, intervista tratta da Gli operaisti (DeriveApprodi, 2005) – dalla Rivista Machina

Nel nostro caso, il modo per provocare la voluttà di capire è quello di vivere l’osser­vazione del cielo stellato come esperienza del sublime; esperienza che apre la via della conoscenza empatica; e pone così le condizioni di possibilità del sentimento tragico, ovvero dell’apparire del destino. È questa un’idea assai antica; Empedocle e poi, a distanza di circa quattro secoli, Lu­crezio pongono l’esperire il sublime come la piccola porta che schiude la conoscenza, come iniziazione all’esercizio e all’appropriazione dell’intelligenza, questa facoltà umana comune. Il sublime è quindi una categoria estetico-gnoseologica, oggetto di studio nell’antichità classica, e poi di nuovo a partire dal Settecento. Schelling dà una definizione del sublime secondo la quale si tratta di qualcosa di immensamente più grande del nostro corpo e della nostra energia, ma che tuttavia riusciamo a comprendere, a dominare intellettualmente. Il sublime, infatti, prima d’essere un genere letterario è un genus vivendi, più che un criterio formale è una tonalità dell’anima, un comportamento; avvertire il sublime è equivalente a praticare  la grandezza dell’anima, la coscienza enorme.
Strappare il sublime al cielo notturno, un estratto dal primo capitolo de Lo spettacolo cosmico. Scrivere il cielo: lezioni di astronomia visiva (DeriveApprodi, 2007) – dalla Rivista Machina

«Franco Piperno (uno dei fondatori di Potere Operaio), costretto all’esilio per i suoi presunti rapporti con le Brigate Rosse, ci ha mandato questo racconto dal Canada».
La prima volta che la vidi se ne stava rincantucciata in un angolo, il più buio, del porticato all’ingresso della casa in Calabria. Era sera, una sera inoltrata di luglio. Una luna ovale e sanguinolenta si era già impadronita del cielo, e infastidiva le stelle. L’odore serotino del gelsomino napoletano, cresciuto forsennatamente lungo tutte le mura della vecchia casa, inebriava il respiro. Un che di spossato e di alchemico stagnava nell’aria quasi si stesse per consumare un sortilegio. Una sera come ne capitano di frequente d’estate, laggiù, in Calabria, sulle colline a ridosso della Sila.

– I lupi. Racconto autobiografico Un racconto pubblicato originariamente sul n. 19 del giugno 1982 di Frigidaire, accompagnato nella rivista dai disegni di Andrea Pazienza – dalla Rivista Machina

[Sempre sul portale della Rivista Machina è possibile leggere alcuni degli ultimi interventi di Franco Piperno, nella sezione Sestanti, e in questo archivio]

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