Ancona – In piazza la rabbia dopo l’alluvione

Fango contro la regione Marche, in centinaia in corteo per il climate strike. Lanciata per sabato 15 ottobre una manifestazione ad un mese dal disastro

Venerdì 23 settembre era la data individuata a livello internazionale per lo sciopero globale a difesa del clima.

Era naturale conseguenza di quanto accaduto tragicamente nei giorni scorsi che l’appuntamento nelle Marche si caricasse di ulteriori significati, si trasformasse in un primo momento di caduta delle tensioni accumulate, di espressione della rabbia e della frustrazione vissute dalle popolazioni colpite dal nubifragio e dall’alluvione del 15 settembre.

A distanza di una settimana l’intervento istituzionale si può definire assente più che insufficiente: per giorni è stata l’autorganizzazione informale e solidale fra le persone ad affrontare da sola il fango e i cumuli di detriti. Uomini e mezzi della Protezione Civile sono giunti solo con estremo ritardo, insieme all’annuncio dell’invio dell’esercito, diffuso senza vergogna, solo quarantotto ore fa. Grottesco, una beffa oltre al danno. Danno che origina dall’inesistente azione di prevenzione del dissesto idrogeologico di territori fragili, già piegati nel 2014 da un’esondazione analoga, pur non nelle proporzioni e nell’estensione di quest’ultima. E’ evidente che fenomeni meteorologici estremi e devastanti come il ‘temporale autorigenerante’ siano effetti del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici antropogenici. Ma è allo stesso modo indiscutibile che un’azione preventiva di contenimento e di messa in sicurezza dei territori avrebbe permesso di ridurre il danno.

Inazione e immobilismo istituzionale di cui condividono la responsabilità amministrazioni locali e regionali di ogni colore politico.

Decine di migliaia di persone, lasciate a loro stesse in grave stato di necessità, le loro ragioni e quelle di un territorio già segnato da calamità naturali che vede ripetersi le stesse dinamiche di una strategia dell’abbandono piegata a scopi di espropriazione e di estrazione di profitto per pochi. Ragioni che venerdì ad Ancona erano tutte dalla parte della piazza.

Una piazza che ha deciso di dare una rappresentazione plastica della disastrosa gestione istituzionale: sacchi di fango del fiume Misa sono stati scaricati sulla scalinata di ingresso di Palazzo Raffaello, imbrattati di fango i muri della sede della giunta regionale. Un’iniziativa a cui hanno preso parte abitanti giunti dalle aree colpite fra le province di Pesaro e Ancona, tantissimi manifestanti, molti giovanissimi, determinati a dare forma concreta alla condanna dei responsabili, senza cedere alle provocazioni dei funzionari di polizia presenti.

Un’iniziativa assolutamente legittima alla quale è seguita una reazione scomposta da parte dell’amministrazione regionale, che attraverso una nota ha comunicato la presentazione di un esposto in procura. Giunta che ha subito provveduto a ripulire le pareti esterne della sua sede quando chilometri quadrati di territorio sono ancora invasi da melma e rifiuti della piena.

Anche sotto questo profilo il comportamento istituzionale non differisce sulla base di maggioranze politiche di segno diverso: la ritirata di fronte alle responsabilità è coperta da tutori dell’ordine e agenti della repressione del dissenso.

E’ singolare poi come ‘i bravi ragazzi che hanno cuore il pianeta’ si trasformino all’istante in violenti agitatori su cui fare terrorismo mediatico non appena osino infrangere il quadro della compatibilità col discorso pubblico ammaestrato alla ‘buona educazione politica’.

‘Noi sporchi di fango, voi sporchi di sangue’ seguendo lo striscione di apertura, il presidio si è poi mosso verso il centro città, attraversando le principali arterie urbane e paralizzando il traffico per oltre tre ore. Un’ampia partecipazione al corteo che ha visto sfilare fianco a fianco attiviste di Friday For Future e di associazioni a tutela del clima, operai della ex-Caterpillar di Jesi e sindacalisti di base, militanti di realtà sociali e animatori dei comitati di base di Falconara in lotta da anni contro la raffineria Api.

Una giornata di protesta caratterizzata da contenuti e pratiche radicali agite dalle centinaia di persone che hanno composto il corpo variegato della manifestazione. Una giornata che segna anche l’apertura di un percorso di lotta che ha già indicato il suo prossimo obiettivo: la data è quella di sabato 15 ottobre, a distanza di un mese da quel drammatico 15 settembre.

‘Una mobilitazione popolare da costruire attorno ai bisogni e alle esigenze dei territori colpiti, per chiedere innanzitutto conto dei provvedimenti a favore delle popolazioni vittime dell’alluvione.

Una mobilitazione che sia in grado di esprimere una netta opposizione alle politiche di rilancio dell’industria del fossile, ai progetti di nuovi rigassificatori e trivellazioni.

Una mobilitazione che abbia la forza di generalizzare la rivendicazione del ‘noi non paghiamo’: le bollette, i costi del carovita e delle operazioni di speculazione sui prezzi del mercato energetico. Una prospettiva di ulteriore e profondo impoverimento grava sull’immediato futuro, la propaganda di guerra si trasforma nell’ingiunzione all’austerità e al sacrificio personale.

Organizzare l’opposizione e il rifiuto a questo destino che oggi sembra inevitabile è il primo imperativo collettivo.’

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