Roma per la Palestina libera

Una manifestazione oceanica nella capitale si unisce al fronte delle grandi mobilitazioni in corso in occidente e nel resto del mondo

Sabato 28 ottobre 2023: questa la data individuata per la manifestazione nazionale in solidarietà con la popolazione palestinese. Da tempo non si annunciavano chiamate di carattere generale di tale urgenza e portata; la responsabilità della convocazione se la prendono i Giovani palestinesi, gli studenti e le studentesse, le comunità arabe e palestinesi che vivono nel nostro paese. L’appuntamento è a Roma, alle ore 15 a Piazza Porta San Paolo. La vigilia è caratterizzata da tentativi di delegittimazione a mezzo stampa della mobilitazione, che viene presentata in contrapposizione con i presidi pacifisti promossi dalla Rete Pace e Disarmo, di tutt’altro dimensionamento, eppure ritratta quest’ultima come fatto marginale.

Al contrario, attorno alla stazione metro di Piramide tante persone si radunano ancora prima dell’orario di partenza e dal concentramento si è costretti a muoversi quasi subito per poter permettere ai partecipanti di incolonnarsi sul viale che costeggia il parco della Resistenza dell’VIII Settembre. Si rimarrà però fermi in una pausa prolungata dovuta alle intimidazioni delle forze dell’ordine che tentano di scortare il corteo a distanza ravvicinata con mezzi blindati; e ai controlli provocatori e prolungati a cui vengono sottoposti gli autobus in arrivo nella capitale, analoghi a quelli riservati a chi si è mosso in treno, come sulla linea ferroviaria da Ancona per il gruppo molto numeroso che dalle Marche si è organizzato insieme ai centri sociali.

Il corteo infine riprende lento il suo corso, complicato dall’intasamento ai bordi del vialone delle tante persone accorse che attendono di inserirsi. L’autoarticolato con l’impianto audio raggiunge lo striscione di apertura ‘Stop al genocidio, fine dell’occupazione. Palestina libera!’; in testa una grande chiave di cartapesta dipinta di nero simboleggia l’irrinunciabile diritto al ritorno nella propria terra.

Giunti su viale Aventino lo spezzone iniziale composto dalle realtà promotrici, dove campeggiano giganti bandiere palestinesi, si è già espanso a dismisura, mentre quanti sono rimasti nelle retrovie non riescono ancora ad instradarsi. All’altezza della sede della Fao una sosta inaspettata: la bandiera israeliana che sventola allineata alle altre sui pennoni all’ingresso del palazzo diventa bersaglio della contestazione fino a quando un manifestante riesce a saltare e ad arrampicarsi fra muro e recinzione e strappa il drappo, eludendo la sicurezza.

Nel frattempo altri partecipanti continuano ad accorrere, le larghe strade fra il Circo Massimo e il Colosseo si riempiono. La sensazione che si fa strada, l’atmosfera che inizia a riconoscersi è quella delle grandi occasioni. Da via Labicana è un fiume umano che attraversa le vie della capitale fino a raggiungere Piazza San Giovanni, dopo il tramonto. L’imponente manifestazione non riuscirà tutta a fare ingresso in piazza, si defluisce solo in parte mentre il resto rimane su viale Manzoni. L’impressione è comunque potente, quella sensazione trova piena conferma: come accaduto nelle capitali e nelle grandi città di tutto il mondo, anche in Italia va in scena una mobilitazione di massa a supporto della causa palestinese.

Più che in altre occasioni, il balletto di cifre rivela il tentativo di ridurre e disconoscere il significato politico di una partecipazione popolare, spontanea, dai numeri così alti come non se ne vedevano da lungo tempo. Quella di sabato è stata, senza discussione, la più grande manifestazione negli ultimi dieci anni almeno. Che ha mobilitato e dato opportunità di espressione alle donne e agli uomini di questo paese che ritengono inaccettabile quanto sta accadendo con l’assedio e i bombardamenti a tappeto a Gaza, e che sentono di dover dimostrare concreta vicinanza al popolo palestinese oppresso. E tutto questo nelle difficoltà di farlo costretti fra un sistema di informazione irrigimentato e un contesto sociale segnato da anni di torpore e frustrazione.

Un panorama, quello che restituisce la manifestazione di sabato – insieme alle mobilitazioni cittadine che lo hanno preceduto – dove si affaccia una nuova generazione di militanti, che si contraddistinguono per posture politiche radicali, e un protagonismo giovanile e femminile inedito. Che non ha paura di sfidare il ricatto morale del double standard occidentale, rivendicando la complicità con la resistenza palestinese.

E che consegna all’irrilevanza quanti avevano la pretesa di rappresentare il modo moralmente giusto di stare in piazza, che obbediscono al riflesso condizionato della compatibilità assumendo acriticamente quella narrazione dominante che andrebbe rifiutata.

Sabato 28 ottobre è stata una di quelle giornate che infondono entusiasmo, restituiscono fiducia nella capacità collettiva di indagare e aprire spazi di possibilità, di dare corpo a nuove forme di attivazione sociale. Essere riusciti a farlo in un frangente così difficile e in un momento così drammatico per la popolazione di Gaza e per la Palestina, porta con sé la responsabilità di dare continuità e radicalizzare una lotta globale attorno alla questione palestinese che sta mettendo in discussione l’assoluta impunità dello Stato di Israele.

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