Perché non possiamo (più?) dirci non una di meno e perché è importante parlarne proprio ora

Il comunicato del collettivo ‘Femministe Sibilline’ – pubblicato sulle loro pagine social – che illustra i motivi dell’esaurimento dell’esperienza come nodo territoriale maceratese di Non una di meno alla vigilia della manifestazione del 6 maggio sul diritto all’aborto

Abbiamo volutamente scelto il silenzio, per questa pagina, negli ultimi due anni. Un periodo complesso, ingombrato da domande che politicamente ci incalzano e ci costringono a un posizionamento, come collettivo, ormai da un po’: è sufficiente avere un’identità riconosciuta, come rete femminista e transfemminista, per dirsi tale? Basta questo a validarne le pratiche? Che spazio hanno territori e soggettività, che spazio ha il conflitto e come viene gestito?

Allontanarsi dalla rete di Non una di meno significa, per noi, innanzitutto riconoscere e ammettere che non esiste orizzontalità. Non ci basta un’inclusività di facciata, puramente estetica e, in fin dei conti, una rendita di posizione come un’altra. Una rete dovrebbe essere un progetto collettivo in divenire, un luogo di condivisione di lotte e connessione di territori in cui disinnescare narrazioni egemoni e dominanti, spezzare l’isolamento e l’atomizzazione delle nostre voci, respingere strumentalizzazioni e propaganda sulle nostre storie e i nostri corpi.

Come possiamo, dunque, riconoscerci nell’appiattimento dialettico e nella semplificazione che porta a riconoscere e validare narrazioni come quella del “laboratorio Marche”? Non possiamo tacere di fronte all’assunzione di una strumentalizzazione, mediatica e squisitamente elettorale, che denunciamo ormai da anni. Non può essere accettabile la scelta di calare su un territorio una proposta di mobilitazione proponendo quest’ultimo come un simbolo ma di fatto estromettendo ogni possibilità di una sua narrazione da parte delle realtà che da anni lo vivono, presidiano e raccontano. Come definire questa scelta se non escludente, paternalistica, patriarcale?

La manifestazione nazionale del 6 maggio, che sceglie simbolicamente e fieramente le Marche come icona e si regge quasi unicamente sul racconto del laboratorio politico delle destre nella nostra regione, in realtà potrebbe svolgersi in qualunque altro luogo in Italia e non farebbe differenza. La complessità di un territorio e delle sue lotte sono state sacrificate in cambio di validazione, riconoscibilità e inclusione nelle narrazioni mainstream più avvilenti.

Non ci appartiene questo verticismo, non sono nostre le modalità e non è nostra nemmeno la feticizzazione della piazza. Senza un progetto che coinvolga il territorio e che veda nel 6 maggio non un obiettivo ma un passaggio di consolidamento dell’azione politica collettiva, questo corteo non sarebbe niente di più di una passeggiata particolarmente scomoda.

La dimensione di continuità con i processi di autorganizzazione e progettualità sociale e politica trova espressione nello spazio aperto, per iniziativa delle nostre Sisters on the Block, a quelle direttrici di lotta che da anni segnano il nostro territorio su queste tematiche.

Per tutti questi motivi il 6 maggio saremo ad Ancona al loro fianco nello spezzone autonomo e indipendente, “aperto a tutte le soggettività che intendono condividere un percorso di lotta”.

Per tutti questi motivi, non possiamo più dirci Non una di meno.

Non rinunceremo a nessuno spazio di conflitto in favore di hashtag popolari, slogan vuoti e di una narrazione unica, semplificata, appiattita e calzata a forza e buona per ogni occasione. Non rinunceremo alla ricchezza generata dal portare le nostre pratiche femministe nelle lotte, non rinunceremo alle nostre narrazioni e ai nostri percorsi per tutelare una rete nazionale che si vorrebbe sintesi di ogni portato e ogni esperienza territoriale quando, di fatto, è un esoscheletro, vuoto e pesante: attributi di cui non abbiamo bisogno.

Collettivo Femministe Sibilline

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