Impunità per chi tortura e carcere per chi occupa

Le nuove proposte di legge in discussione in Parlamento non lasciano dubbi sulle linee di trasformazione dell’ordinamento penale

La Commissione Giustizia della Camera è letteralmente intasata di proposte di legge con le quali a ‘destra e a manca’ si tenta di mettere mano al codice penale ed al codice di procedura penale per introdurre nuove fattispecie di reato o per modificare quelle già esistenti intensificandone la portata repressiva sia sotto il profilo dell’estensione delle condotte punibili, sia sotto il profilo dell’entità delle pene: contestualmente si tenta di ampliare i margini di operatività delle forze di polizia tutelandone in maniera sempre più sistematica le condotte arbitrarie e discrezionali.

Non è un caso che l’unica proposta di legge che ha come obiettivo quello di abrogare reati anziché introdurne di nuovi sia quella presentata da Fratelli d’Italia, prima firmataria Imma Vietri, con la quale si propone di abrogare il reato di tortura, attualmente disciplinato dagli artt. 613bis e 613ter del codice penale. Appare davvero paradossale, ma in realtà coerente con le finalità dell’abrogazione, che la soppressione del reato di tortura venga proposta proprio in un contesto in cui gravissimi episodi di cronaca, peraltro solo la punta di un fenomeno in gran parte sommerso, hanno fatto emergere come le pratiche di ricorso alla violenza e alla tortura costituiscano non un degenerazione ma una consolidata metodologia di intervento all’interno degli istituti di pena e degli uffici di polizia.

Il reato di tortura è stato introdotto nel nostro ordinamento penale solo nel 2017: l’Italia ha ratificato la Convenzione ONU contro la Tortura solo nel 1989, ovvero ben cinque anni dopo la sua adozione intervenuta a New York il 10 dicembre 1984. Nonostante la sottoscrizione e ratifica della Convenzione ONU, per quasi trenta anni il reato di tortura è stato bandito dal nostro codice penale attraverso il sistematico boicottaggio dei diversi progetti di legge presentati a riguardo. Solo nel 2017 il reato di tortura è diventato una realtà anche per il nostro ordinamento, oramai impossibilitato a mantenere il vuoto normativo dopo il clamore suscitato dalla vicenda Cucchi ed il massacro perpetrato nella scuola Diaz durante il G8 di Genova, cristallizzato nella sentenza del 7 aprile 2015, con la quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato italiano proprio per l’assenza di adeguati strumenti normativi volti a contrastare le pratiche di tortura e di trattamenti inumani e degradanti.

Ma in un Paese in cui l’impunità delle forze dell’ordine costituisce un consolidato fondamento della cultura e della prassi giudiziarie, il reato di tortura non poteva che subentrare in forma menomata: il legislatore, infatti, ha scelto, in contrasto con quanto previsto dalla convenzioni internazionali, di qualificare il reato di tortura come reato comune anziché come reato “proprio”, cioè come reato che può essere commesso specificatamente da quelle figure qualificate che hanno il potere di tenere in custodia una persona. Inoltre nella formulazione dell’art.613bis c.p. si prevede che il reato sia configurabile solo in presenza di “più condotte”, come se una sola condotta non possa tradursi in una tortura, e che il trauma psichico subito dalla vittima sia “verificabile”. Come auspicato da più parti, un eventuale intervento normativo sul reato di tortura sarebbe sì necessario, ma per rendere la fattispecie di reato più efficace nel prevenire e reprimere il nucleo centrale delle pratiche di tortura, ovvero la cosiddetta ‘tortura di Stato’.

In direzione diametralmente opposta si muove la proposta di legge di Fratelli d’Italia che persegue l’abrogazione tout-court del reato con il duplice obiettivo di impedire futuri procedimenti a carico delle forze di polizia e di far naufragare i procedimenti già in corso. Nella relazione di presentazione della proposta di legge, i firmatari scrivono, tra le altre assurdità, che il mantenimento del reato di tortura potrebbe “disincentivare e demotivare l’azione delle forze dell’ordine”: più chiaro di così…

Mentre si cercano gli strumenti per tutelare gli abusi e le violenze delle forze dell’ordine, si affinano le strategie per innalzare ulteriormente le pene previste per i reati sociali e le relative procedure repressive. Sempre la Commissione Giustizia della Camera è impegnata dal 23 marzo nell’esame della proposta di legge di legge n.566, presentata dalla Lega, prima firmataria Bisa Ingrid. Obiettivo della proposta di legge è quello di colpire ancora più duramente le occupazioni di immobili attraverso l’inserimento nel codice penale di un nuovo articolo, il 624ter c.p., che sarebbe titolato “Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”.

Secondo il nuovo articolo chi “…mediante violenza, artifizi o raggiri, si impossessa, occupa o detiene senza titolo legittimo un immobile destinato a domicilio altrui ovvero impedisce il rientro del proprietario o detentore legittimo nel medesimo immobile…” è punito con la pena della reclusione da due a sette anni. La stessa pena è prevista per la condotta di chi “si intromette, coopera, riceve o corrisponde denaro o altra utilità per l’occupazione dell’immobile o cede ad altri l’immobile occupato”. Si tratta di livelli di pena al di fuori di ogni rapporto di proporzionalità e che testimoniano il dilagante affossamento dei più elementari principi dello stato di diritto. Oltre alle pene stratosferiche, il progetto di legge prevede l’arresto facoltativo nella flagranza del reato, arresto che, però, diviene obbligatorio nel caso in cui l’autore del reato non ottemperi volontariamente all’ordine di rilascio dell’immobile.

Secondo quanto previsto dai successivi articoli del progetto di legge, in presenza di una denuncia per la violazione del nuovo art. 624ter c.p. gli agenti e gli ufficiali di polizia, entro ventiquattro ore dal ricevimento della denuncia, valutati “sommariamente” gli atti prodotti dal denunciante e prima ancora di avvisare il magistrato competente, si recano presso l’immobile occupato all’interno del quale, in mancanza di consenso da parte dell’occupante, entrano con l’uso della forza per verificare la situazione. Constatata la sussistenza del reato procedono direttamente allo sgombero dell’immobile, ricorrendo, anche in questo caso, all’uso della forza in mancanza di un’ottemperanza volontaria e al potere di procedere all’arresto dell’autore del reato. Il pubblico ministero viene investito del caso solo entro le successive 48 ore con l’unica funzione di convalidare le operazioni già poste in essere dalle forze di polizia. Oltre, dunque, all’innalzamento delle pene, il testo di legge prevede anche un’azione di polizia con gravi implicazioni e al di fuori di ogni controllo preventivo da parte dell’autorità giudiziaria.

Mentre la Commissione Giustizia è impegnata nell’esame del proposta di legge presentata dalla Lega, Fratelli d’Italia ha depositato la sua proposta di legge in materia di occupazioni: pdl n. 935, primo firmatario Tommaso Foti. In questo caso, anziché introdurre nel codice penale un nuovo articolo si propone di modificare il già esistente art. 634 c.p. che nella nuova formulazione verrebbe titolato “Spoliazione o turbativa violenta del possesso o della detenzione di cose immobili”. Con il novellato art. 634 c.p. verrebbe punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da duemila euro a diecimila euro chiunque, fuori dai casi già previsti dall’art.633 c.p. (invasione di terreni e edifici) e dall’art.633bis c.p. (cosiddetta norma anti-rave), “con violenza alla persona, con minaccia o con violenza sulle cose, spoglia qualcuno del possesso o della detenzione di cose immobili, o altrimenti turba tale possesso o detenzione”. La pena, tuttavia, diventa quella della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da cinquemila euro a ventincinquemila euro nel caso in cui l’immobile consista in un’abitazione civile: fattispecie aggravata che verrebbe inserita tra i casi di arresto obbligatorio in flagranza. La fattispecie delittuosa verrebbe, inoltre, collocata tra quelle per cui è esclusa la possibilità di patteggiamento, mentre la sospensione condizionale della pena sarebbe subordinata alla reimmissione del bene nel possesso del suo titolare.

Le proposte di legge che stanno affollando la Commissione Giustizia della Camera e che perseguono il duplice obiettivo del radicale aggravamento del sistema sanzionatorio e della parallela estensione dei poteri di polizia, confermano in maniera evidente lo slittamento dell’intero ordinamento penale verso un impianto sempre più carcerocentrico, un impianto cioè dove la pena della reclusione, anche nelle ipotesi in cui questa venga sospesa o sostituita, costituisce il parametro di riferimento primario e lo strumento principale di gestione delle criticità sociali. Ciò è pienamente in linea con la cultura giustizialista e penalpopulista che in questi anni è stata costantemente alimentata non solo dalla destra, ma anche attraverso tutte quelle proposte di legge di matrice ‘liberalprogressista’ che di fatto canalizzano nella richiesta di tutela da parte del dispositivo repressivo e carcerario anche battaglie che nascono dal bisogno di affermazione di nuove sfere di diritti.

Non deve pertanto stupirci che tra le proposte di legge approdate alla Commissione Giustizia della Camera ce ne sia anche una a firma del deputato Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia con la quale, considerato che, come scritto nella relazione introduttiva, “la letteratura scientifica in materia ha stabilito che sussistono significative connessioni tra gli atti di violenza ai danni degli animali e lo sviluppo contestuale o futuro di disturbi della personalità di chi li commette”, si propone di innalzare le pene attualmente previste in materia di delitti contro gli animali portando la pena prevista dall’art.544bis dal vigente massimo di due anni a cinque anni, la pena massima prevista dall’art.544ter dal massimo di diciotto mesi al massimo di tre anni e quella prevista dall’art.727 c.p. dall’attuale massimo di un anno a quello di due anni e sei mesi (tutti aumenti di pena a cui si aggiungono gli aumenti della multa e dell’ammenda). Non saranno certo gli animali a trarre giovamento da tali aumenti di pena: ancora una volta ciò che troverà alimento nell’ennesima norma che dispensa anni di carcere sarà quel sistema di totalitarismo giudiziario che avviluppa sempre di più le nostre vite.

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