Capiamo il DL n. 20/2023, il nuovo “Decreto Immigrazione di Cutro”

Riprendiamo da MeltingPot una disamina dell’avv. Paolo Cognini: si restringono le garanzie dei richiedenti asilo e i diritti delle persone migranti

Il Decreto Legge n. 20 del 2023 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 marzo 2023 ed entrato in vigore il giorno successivo, è al centro di numerose polemiche non per solo per l’immotivato ricorso al decreto di urgenza ma perché offre una risposta paradossale alla strage di Steccato di Cutro.

Secondo l’avv. Paolo Cognini, si tratta di una grave speculazione politica che partendo dalla vicenda drammatica del naufragio, dove sono morte oltre 100 persone, produce un testo normativo che nella realtà restringe le garanzie dei richiedenti asilo e più complessivamente i diritti delle persone migranti. Nel testo non c’è assolutamente niente che possa incidere in termini positivi sulle cause che hanno prodotto la tragedia di Cutro per semmai prevenirla, contrariamente a quello che è stato propagandato o detto contestualmente alla predisposizione del decreto legge.

D’altro canto le norme che incidono effettivamente sul contesto che ha portato al naufragio non sono affatto toccate, anzi è parere dell’avvocato che le uniche modifiche normative riconducibili al governo in carica e che incidono in maniera negativa su quel contesto sono le norme contenute nel Decreto Legge n. 1/2023, convertito in legge, che «in maniera sistematica e scientifica è intervenuto per rendere più complicate, più difficili, più ostacolabili le operazione di soccorso in mare». Oltre ad essere stato il primo decreto legge di questo governo, interviene aggravando la situazione, nei fatti rende maggiore la probabilità di situazioni di pericolosità in mare e aumenta la possibilità di eventi tragici.

«Quello che colpisce nel disaminare i testi degli articoli che compongono il DL 20/2023 – sostiene Cognini – è che il primo effetto, la prima implicazione normativa si riversa sulla protezione speciale determinando una restrizione verticale».

L’avvocato del Foro di Ancona illustra la storia della protezione speciale, una forma di protezione che di fatto nasce dall’abrogazione della tutela umanitaria (cosiddetta protezione umanitaria) intervenuta nel 2018 per effetto del DL 113/2018, convertito in legge, conosciuto come DL Salvini. Prima di quel decreto, l’art. 5 comma 6 del T.U. Immigrazione prevedeva che nel caso in cui l’autorità amministrativa si fosse trovata nella condizione di rifiutare o di revocare un titolo di soggiorno al cittadino straniero, questa scelta doveva essere valutata anche alla luce di quelli che potevano essere i seri motivi, in particolare di natura umanitaria, che dovevano e potevano giustificare il mantenimento del permesso di soggiorno. Sulla base di questo inciso si strutturava quella che è stata conosciuta come la protezione umanitaria.

«Una tutela – chiarisce Cognini – che in realtà faceva riferimento ad un contesto aperto che poteva essere adattato alle condizioni specifiche che l’autorità amministrativa si trovava ad affrontare, considerando sia le ragioni di carattere umanitario e sia le ragioni costituzionali».

Nel 2018 questa parte dell’art. 5 viene abrogata, di fatto viene abrogata la protezione umanitaria. Al posto di questa, il DL 113/2018 introduceva la protezione speciale attraverso il riferimento dell’art. 19 comma 1 e comma 1.1. del TU Immigrazione. L’art. 19 disciplina i divieti di espulsione, cioè vengono elencate quelle condizioni che impongono di non espellere il cittadino straniero dallo Stato italiano. I due commi prevedevano nella realtà un’applicazione limitata a pochissimi casi, già peraltro garantiti dalla protezione internazionale.

«Nel 2020 – prosegue il legale – il legislatore effettua una risignificazione giuridica e normativa della protezione speciale attraverso il DL 130/2020, convertito in legge, il cosiddetto Decreto Lamorgese: viene novellato l’art. 19 comma 1 e comma 1.1 inserendo il divieto di espulsione anche in quei casi che erano stati aboliti e quindi ripristinando le garanzie degli obblighi costituzionali».

Con queste modifiche, viene specificato che «il divieto di espulsione viola il diritto alla vita familiare e privata del cittadino straniero, un diritto che è sancito dall’art. 8 della CEDU. Un diritto di spessore importante, perché in realtà è un diritto che tutela la vita che il soggetto ha costruito nel corso della sua esistenza. Si dà peso e importanza del processo di radicamento del cittadino straniero nel territorio nazionale», vanno quindi valutati i legami sociali e affettivi costruiti nel corso degli anni e le sue esperienze lavorative, anche comparate con la situazione del richiedente in caso di rimpatrio nel paese di origine. Il permesso di soggiorno per protezione speciale, con il DL 130/2020, ha la durata di 2 anni.

Con la soppressione prevista dall’art. 7 del DL 20/2023 (che abroga il terzo e quarto periodo dell’articolo 19 comma 1.1. del T.U.) viene meno il divieto di espulsione sancito in rapporto al radicamento del cittadino straniero e anche a tutti gli indicatori sopracitati.
«Le conseguenze di questa soppressione sono conseguenze estremamente gravi – spiega l’avvocato – in quanto è un dispositivo di protezione che in buona parte aveva sopperito all’abolizione della protezione umanitaria. Ciò comporta anche delle problematiche rispetto ai permessi di soggiorno in corso rilasciati per protezione speciale, poiché subentra la possibilità di rinnovarlo per una sola volta e per un anno, dopodiché questo permesso di soggiorno non potrà più essere rinnovato e quindi il titolare dovrà necessariamente convertirlo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro».

Sempre nel DL viene specificato che il nuovo assetto non si applica a quelle istanze che sono già state formulate o quando sono già stati fissati gli appuntamenti in questura, e quindi non è retroattivo. Andranno monitorate le prassi delle questure soprattutto nei casi di rigetto e rifiuto, dove probabilmente verrà contestualmente notificato un decreto di espulsione.

Secondo i dati del rapporto del CIR 1, nel 2022 le domande esaminate di richiedenti asilo in Commissione territoriale sono state circa 52.600: il 53,5% si sono tradotte in dinieghi, il 12% nel riconoscimento dello status di rifugiato, il 13,2%, nella protezione sussidiaria e il 21,2% nella protezione speciale. Quindi sono stati 28.141 i richiedenti con diniego, mentre 11.151 coloro che hanno ottenuto la protezione speciale.

Sulla base dell’articolata analisi della dott.sa Monia Giovannetti, che ha esaminato i dati relativi ai procedimenti amministrativi e giudiziari dal 2016 al 2020 2, si ipotizza che dopo il ricorso in tribunale «coloro i quali giungeranno ad avere un titolo di soggiorno per protezione e dintorni, saranno il 59% (ovvero 6 su 10) anche all’esito delle relative impugnazioni giurisdizionali». Rispetto al 2022 è perciò possibile sostenere che all’incirca altre 16.600 persone otterranno un permesso di soggiorno, con altissime probabilità che sia di protezione speciale.
Alla prova dei dati, la soppressione della protezione speciale porterà ad un incremento notevole delle persone senza titolo di soggiorno.

Prima parte – disamina DL 20/2023, protezione speciale

Seconda parte – disamina DL 20/2023, norme relative ai flussi di ingresso, art. 24 bis, conversione dei permessi di soggiorno per studio o formazione al di fuori delle quote, aumento della durata di alcune tipologie di permesso di soggiorno

Terza parte – disposizione penali, aumento delle pene per “scafismo”

Eventi in programma