8 maggio 22, Civitavecchia – Assemblea ‘Exit Project’
Il report dell’assemblea promossa dalla Campagna ‘Per il clima, fuori dal fossile’
Domenica 8 maggio si è svolta a Civitavecchia la prima assemblea in presenza di “Exit Project”, un percorso nato dall’incontro tra la Campagna Per il Clima Fuori dal Fossile e diverse realtà lavorative con l’obiettivo di avviare un confronto concreto tra esperienze di attivismo ambientale e percorsi di opposizione e resistenza nei luoghi di lavoro.
L’assemblea dell’8 maggio ha avviato tale percorso e lo ha fatto nel migliore dei modi, considerate la molteplici realtà lavorative che hanno partecipato all’appuntamento e che si sono confrontate fattivamente sulle prospettive comuni. Il presente report non vuole essere un resoconto dettagliato del confronto che si è sviluppato nel corso dell’incontro, ma una sintesi dei contenuti di maggiore rilevanza che il dibattito ha focalizzato e che pensiamo sia giusto rilanciare anche nelle altre sedi di discussione.
L’URGENZA DELLA SALDATURA TRA RESISTENZA AMBIENTALE E RESISTENZA NEI LUOGHI DI PRODUZIONE E CONSUMO
La consapevolezza dell’urgenza e della necessità storica di costruire un legame organico e continuativo tra lotte ambientali e conflittualità che si producono sul versante lavorativo, ha attraversato tutti gli interventi. Una necessità che riappropriandosi dell’ideale di uguaglianza universale nasce dalla materialità delle condizioni discriminanti che ci troviamo a vivere ed a condividere. La problematica delle delocalizzazioni di risorse e di opportunità occupazionali, costantemente richiamata negli interventi, è emersa ed è stata riconosciuta, nel contempo, come delocalizzazione delle emissioni, sottrazione alle garanzia di sicurezza nei luoghi di lavoro, insediamento nei territori più facilmente aggredibili sia sotto il profilo ambientale che sotto il profilo sociale e lavorativo. Pur muovendo da contesti lavorativi differenti, gli interventi che si sono succeduti hanno disegnato un medesimo tracciato delle principali criticità che in questo momento interconnettono ambiente e lavoro, clima e produzione.
Ed è proprio in queste criticità che è possibile individuare alcuni dei principali snodi di quelle piattaforme comuni che possono saldare le lotte ambientali con quelle che si producono all’interno del ciclo produttivo. Snodi che in questa prima riflessione collettiva abbiamo individuato:
1) Nella battaglia contro le delocalizzazioni, per le ragioni che abbiamo appena accennato;
2) Nella necessità di rilanciare una diffusa opposizione sociale alle privatizzazioni, che oggi trovano nel Ddl concorrenza un nuovo e pericolosissimo trampolino di lancio. La privatizzazione di beni e servizi fondamentali determina non solo un ulteriore abbassamento della qualità della vita, ma si traduce anche in processi produttivi che intensificano il livello di sfruttamento e di esposizione al rischio sia del lavoro che dell’ambiente;
3) Nel contrastare radicalmente e con azioni mirate nei territori il rilancio del fossile che con il supporto della propaganda di guerra si è riappropriato di spazio, tempo e risorse, comprese quelle che gli vengono assicurate attraverso i vari capitoli del PNRR;
4) Nel ruolo strategico che possono svolgere i progetti elaborati dal basso di riconversione produttiva e di autonomia energetica: la costruzione di alternative concrete immediatamente praticabili rende credibili le nostre proposte e realizzano nel contempo forme nuove e concrete di esercizio di democrazia diretta. A tale riguardo si è deciso di realizzare una mappatura delle vertenze in corso e dei progetti alternativi già prodotti;
5) Nella rivendicazione di meccanismi certi di garanzia della continuità reddituale ed occupazionale propedeutici e imprescindibili dall’attuazione delle riconversioni ecologiche.
Come è stato ribadito nel corso dell’assemblea, la costruzione di piattaforme comuni non è un esercizio di scrittura ma un processo, composto da molteplici momenti che depositano lungo un percorso aperto ed in costante movimento, i propri risultati. Exit Project vuole essere uno di questi momenti e per tale ragione a conclusione dell’assemblea tutte le realtà presenti hanno convenuto sulla necessità di dare continuità al percorso di Exit Project, come luogo sia di confronto che di organizzazione, e di costruire da subito l’appuntamento successivo.
LA GUERRA
Ma nessun ragionamento sulle prospettive future sarebbe credibile e realistico se non assumesse la guerra e lo stato di guerra in cui attualmente siamo costretti a vivere come il contesto generale all’interno del quale ripensare la sfera delle nostre azioni e iniziative. E’ questo il pensiero che ha sostanzialmente attraversato tutti gli interventi che si sono alternati nella seconda parte dell’assemblea. La guerra non è un problema tra gli altri, un “nuovo” ambito di intervento che possiamo decidere se assumere o meno. La guerra nel contesto attuale è il punto di partenza, la necessaria premessa di ogni altro discorso, il quadrante globale dentro cui anche le problematiche preesistenti trovano una nuova e più feroce declinazione. Contrastare la guerra e le politiche di riarmo, lo stato di guerra e le nuove forme di emergenzialismo che esso porta con sé, costituisce una priorità, un’urgenza con la quale dobbiamo misurarci. Questo non significa sospendere o ridimensionare i terreni di intervento in cui siamo già attivi, ma ricollocarli e riqualificarli all’interno dell’attuale scenario di guerra.
Tale linea di riflessione ha portato, a conclusione dell’assemblea, ad individuare quattro coordinate fondamentali attraverso le quali è possibile articolare il tema della guerra ed i nostri corrispondenti ambiti di azione.
1. L’opposizione alla guerra in quanto tale e alle strategie di riarmo che l’alimentano, contro ogni occupazione e asservimento militare dei territori e contro la propaganda e la censura di guerra, attraverso le quali l’idea stessa di una precipitazione nucleare del conflitto viene sempre di più riportata nel campo delle opzioni possibili. E’ urgente che alla centralità della guerra, con il suo carico di morte e distruzione, si sostituisca quella della cessazione del conflitto armato e un’azione autenticamente volta ad evitare che si inneschi un’ulteriore escalation bellica dell’esito incontrollabile;
2. L’opposizione al golpe del fossile nella guerra. E’ evidente come le lobby del fossile, oltre ad essere corresponsabili nella realizzazione delle condizioni che hanno prodotto il conflitto, stanno facendo dello stato di guerra e della propaganda bellica uno straordinario strumento non solo per accumulare nuovi profitti e nuove commesse, ma anche per ripristinare e prolungare la propria egemonia. E’ necessario aprire una nuova stagione di mobilitazione nei territori, capace di individuare e di contrastare i progetti di rilancio del fossile ed i relativi canali di finanziamento;
3. L’opposizione all’economia di guerra, che attraverso l’inflazione, l’innalzamento dei prezzi e dei costi delle bollette sta scaricando i costi della guerra sulle popolazioni e sugli strati sociali meno abbienti e più precari. Da questo punto di vista, oltre alla necessità di calmierare i prezzi e di rilanciare la battaglia contro le bollette-truffa, un furto legalizzato che si perpetua da anni, è necessario porre con forza la rivendicazione di nuovi dispositivi di indicizzazione dei redditi e delle retribuzioni che ne salvaguardi efficacemente e tempestivamente il potere d’acquisto;
4. L’opposizione alla produzione di guerra, all’interno della quale si “riabilita” l’industria delle armi e dei cosiddetti “sistemi di difesa” per assegnarle un ruolo propulsivo nell’economia del Paese. Il nostro interrogativo su cosa, come e quanto produciamo, trova oggi un concreto ed immediato terreno di verifica proprio sul versante della produzione e commercializzazione delle armi, che dentro lo stato di guerra, al pari del fossile, trovano una straordinaria occasione di rilancio e rilegittimazione.
Attraverso questo report vogliamo condividere il tracciato della nostra discussione nella speranza che possa essere di utilità alla riflessione collettiva sui passaggi e sulle prospettive che possiamo darci dentro la materialità del contesto che stiamo vivendo. Il valore della “convergenza” tra percorsi diversi appare oramai un dato consolidato nell’immaginario delle realtà in movimento. Tuttavia il problema è che l’immaginario non è sufficiente: dobbiamo capire come la “convergenza” passa dalla “testa ai piedi”, come da intento diventa pratica concreta. Per fare questo dobbiamo misurarci su obiettivi determinati, su specifiche coordinate di azione e su percorsi capaci di radicarsi realmente nelle territorialità in cui agiamo.
CAMPAGNA PER IL CLIMA FUORI DAL FOSSILE