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Si muore anche di fame nelle galere italiane

Il caso di Alfredo Cospito e la pratica dello sciopero della fame in condizioni di restrizione della libertà

L’immagine di un detenuto che muore in sciopero della fame è sicuramente forte e scuote l’opinione pubblica. L’idea di un potere sordo che lascia morire una persona privata della propria libertà mentre tenta di essere ascoltata, cozza inevitabilmente con la tutela dei diritti umani. Lo sciopero della fame è una pratica che ha una lunga storia, in Irlanda ad esempio è utilizzata dal 1917. Dopo la fine della guerra civile irlandese nel 1923, oltre 8000 prigionieri dell’IRA fecero uno sciopero della fame per denunciare la loro continua detenzione. Successivamente nel 1980 e nel 1981 ci furono due scioperi della fame tra i militanti dell’IRA nel carcere di Long Kesh, nel secondo morirono nove detenuti tra cui Bobbie Sands. Anche in Turchia i detenuti politici, ispirati dagli irlandesi, diedero vita ad una lunga tradizione di scioperi della fame che continua fino ad oggi. Dal 1980, dopo il colpo di stato di Kenan Evren e l’instaurazione della dittatura militare, morirono in carcere centinaia di detenuti tra cui diversi militanti del DHK-C e del PKK in sciopero della fame. Nel 1997 protestarono contro la politica di isolamento per i detenuti politici e dal 2000 in poi contro l’apertura delle prigioni di “tipo f” (ideate per la segregazione dei detenuti politici). Più recentemente, nel 2016, ci fu il tentato golpe in Turchia utilizzato in seguito da Erdogan per avviare una fase di forte repressione contro ogni forma di opposizione politica. In quel contesto furono arrestati 300 avvocati tra cui Ebru Timtik, avvocata e attivista turca di origine curda che morì dopo 238 giorni di sciopero della fame mentre chiedeva un processo giusto. Nel 2020 sono morti in carcere nello stesso modo tre musicisti e attivisti di una nota band turca a cui era stato vietato di fare concerti. Ibrahim Gockek, 40 anni, era senza mangiare da 323 giorni, Helin Bolek e Mustafa Kocack, 28 anni, non assumevano cibo da 228 e 288 giorni.

Oggi sentiamo parlare di Alfredo Cospito, detenuto anarchico in regime di 41-bis che rischia l’ergastolo ostativo per il reato di strage contro la sicurezza dello Stato (nonostante nell’azione contestata non si siano registrati morti, feriti, o danni significativi). Il detenuto si trova in sciopero dalla fame da 75 giorni per chiedere l’abolizione del 41-bis e dell’ergastolo ostativo. Grazie alle azioni e all’attivismo dei gruppi anarchici e di movimento la vicenda è riuscita a ottenere una certa visibilità, grazie anche all’interessamento di figure pubbliche. Questa è la prima volta nella storia recente che in Italia la protesta di un prigioniero contro il regime carcerario arriva ad ottenere una discreta visibilità, tra l’altro con rivendicazioni generali importanti e di civiltà. Quella di Alfredo è sicuramente una vicenda particolare, perché si tratta di un detenuto politico e determinato nella sua battaglia, ma in verità sono tanti gli episodi di sciopero della fame nelle carceri italiane. Forse siamo abituati a pensare che si muore digiunando solo dentro le galere dei paesi cosiddetti ‘non democratici’ e che non può succedere in Italia, ma le cose non stanno così. Sono diversi i morti avvenuti negli anni dentro le prigioni italiane per sciopero della fame anche tra i cosiddetti ‘detenuti comuni’ ed è importante raccontare le loro storie spesso dimenticate.

  • Nel 2005 Pietro Del Gaudio, 44 anni, detenuto a Secondigliano, protesta contro le condizioni igienico-sanitarie e contro l’aumento dei prezzi dei prodotti disponibili dentro la struttura. Viene trasferito in ospedale e dopo cinque giorni di ricovero in terapia intensiva muore a causa di uno sciopero della fame portato alle estreme conseguenze.
  • Nel 2008 Alì Juburi, detenuto di 42 anni, viene trasferito da San Vittore al carcere di Vasto sul litorale abruzzese, sconta una pena di un anno e due mesi e nonostante fosse incensurato prima di questa condanna rimane in carcere. Si professa innocente e muore in sciopero della fame.
  • Nel 2009 Sami Mbarka Ben Gargi, 41 anni, era detenuto nel penitenziario di Pavia. Dopo essersi dichiarato innocente e aver iniziato lo sciopero della fame viene tradotto per due volte in ospedale con la richiesta di TSO, la prima volta non viene eseguito perché il paziente è ritenuto lucido e consapevole, la seconda volta viene effettuato per garantire il sostentamento vitale attraverso le flebo, ma non basta e il paziente muore dopo aver perso 21 kili.
  • Nel 2012 moriva a Lecce Popo Virgil Cristia, 38 anni, trasferito in ospedale dopo che digiunava da cinquanta giorni dentro il carcere di Borgo San Nicola dichiarando la propria innocenza e chiedendo di poter parlare con un magistrato per tornare libero.
  • Salvatore Meloni, indipendentista sardo, negli anni ’80 aveva progettato un colpo di stato nell’isola, sembra che avesse anche l’appoggio di Gheddafi. Fu l’unico italiano condannato per cospirazione contro lo Stato. Dopo aver scontato nove anni di pena viene arrestato nuovamente nel 2017, a 74 anni, per altri reati slegati dalla causa indipendentista, muore dopo due mesi di sciopero della fame nel carcere di Uta.
  • Nel 2018 Gabriele Milito, 75 anni, si trova dentro il carcere di Paola in Calabria, si professa innocente e inizia a rifiutare il cibo, dopo diversi malori viene ricoverato e muore.
  • Nel 2020 Carmelo Caminiti, 59 anni, detenuto a Messina con gravi patologie, chiede il trasferimento agli arresti domiciliari per l’incompatibilità del suo stato di salute con la condizione detentiva in periodo di Covid ma la sua istanza viene respinta. Nel frattempo Carmelo aveva iniziato uno sciopero della fame che dura 60 giorni fino a quando non finisce in coma e muore.

Queste storie hanno occupato un trafiletto nella cronaca giornalistica per poi sparire nel nulla, assieme agli altri morti in carcere che solo nel 2022 sono stati 203 di cui 84 morti suicidi. Speriamo che il nome di Alfredo non si aggiunga a questa lista e che la sua battaglia riesca a vincere e a mettere al bando la tortura del 41-bis e dell’ergastolo ostativo a cui sono sottoposti centinaia di detenuti e detenute nel nostro paese. Secondo gli ultimi dati disponibili del Ministero attualmente sono 759 i detenuti in regime di 41 bis e 1259 le persone condannate all’ergastolo ostativo, ovvero il 70 per cento degli ergastolani che in totale sono 1784. È incredibile che ad oggi non si sia riusciti ad immaginare una soluzione differente alle gabbie di cemento e ferro in cui vengono rinchiusi prevalentemente i poveri, i tossicodipendenti, i migranti e le persone affette da disturbi psichiatrici. Supporteremo sempre le battaglie di chi resiste dentro le degradanti e inumane galere e di chi lotta per l’abolizione del 41-bis e dell’ergastolo in tutte le sue forme.

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