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Dalla Serbia in rivolta. Intervista al collettivo Led Art

La testimonianza di Željko Grulović, Led Art / šok zadruga collective di Novi Sad

Quella che segue è un’intervista per corrispondenza che abbiamo condotto con Željko Grulović, un lavoratore culturale, artista e psicologo che fa parte del Led Art / šok zadruga collective di Novi Sad e membro del consiglio direttivo dell’associazione Scena Culturale Indipendente della Serbia (NKSS). Željko era stato ospite di un’incontro pubblico presso lo Spazio Autogestito Arvultura di Senigallia lo scorso maggio, abbiamo voluto approfondire insieme a lui la conoscenza del movimento studentesco e popolare che da oltre nove mesi ha sconvolto lo scenario sociale e politico in Serbia.


1. Dal novembre del 2024, in seguito al crollo di una pensilina alla stazione di Novi Sad, che ha causato 15 morti e decine di feriti, in tutta la Serbia si è organizzato un movimento di protesta enorme. Vorremmo che ci raccontaste com’è nato e come si è sviluppato il movimento.

Purtroppo, il bilancio delle vittime è salito a 16, poiché il giovane che era in condizioni critiche è deceduto.
Le proteste sono iniziate pochi giorni dopo il crollo della pensilina. Fin dal momento in cui si è verificata la tragedia, molti cittadini in tutta la Serbia hanno vissuto un profondo shock, seguito da un crescente senso di indignazione. Una grande manifestazione è stata organizzata a Novi Sad, che si è conclusa davanti al municipio. Dopo questa protesta, diversi giovani partecipanti sono stati fermati, fatto che ha innescato una nuova ondata di mobilitazione: gli studenti hanno cominciato a organizzare piccole proteste davanti alle loro facoltà, chiedendo il rilascio dei compagni arrestati.
Queste azioni guidate dagli studenti hanno generato ulteriori tensioni, poiché gli studenti sono stati sottoposti a pressioni, inclusi attacchi verbali e fisici, da parte di persone affiliate o vicine ai partiti politici al potere. Questo ha portato al blocco delle attività universitarie in tutta la Serbia. A quel punto, la dinamica del movimento è cambiata: gli studenti sono emersi come la forza principale delle proteste e sono diventati un simbolo di speranza per il cambiamento.

2. In questi otto mesi il movimento in Serbia ha organizzato decine di iniziative, blocchi, manifestazioni con decine e anche centinaia di migliaia di persone. Vorremmo che ci raccontaste meglio quali sono state le azioni più significative ed importanti.

Le proteste in Serbia durano ormai da quasi nove mesi, e ciò che le rende uniche è la loro decentralizzazione simultanea unita a una forte coesione interna. Sebbene le azioni si svolgano in diverse città e in risposta a problematiche locali differenti, sono tutte unite da una richiesta comune di giustizia e democratizzazione.
Uno degli aspetti più significativi del movimento è il vasto sostegno agli studenti, che vengono sempre più percepiti dall’opinione pubblica come la prima vera possibilità di cambiamento democratico dopo anni di apatia e di profonda sfiducia nel sistema politico.
La natura decentralizzata delle proteste può essere letta sia come una strategia spontanea, sia come il riflesso della moltitudine di frustrazioni accumulate nel paese. Insieme, esse mettono in luce la crisi sistemica della Serbia – segnata da una corruzione dilagante, dall’erosione delle norme giuridiche fondamentali e da una generale sensazione di collasso istituzionale.

3. Come si è strutturato a livello organizzativo il movimento in questi mesi? Vorremmo che ci raccontaste meglio che cosa sono i plenum, ma anche più in generale quali sono stati i meccanismi organizzativi che hanno permesso la coordinazione a livello territoriale, ma soprattutto nazionale.

Le forme classiche di organizzazione che di solito sono presenti in situazioni come questa – come i partiti politici o i sindacati – sono state quasi completamente assenti. Questa assenza riflette una perdita di fiducia profonda e diffusa in quelle “istituzioni” dell’organizzazione politica e sociale. Sta anche crescendo nella popolazione la consapevolezza che la maggior parte dei partiti di opposizione non propone una vera “nuova politica”, ma piuttosto una continuazione dello status quo, mascherata da promesse dichiarative di democratizzazione e lotta alla corruzione.
La radice di questa sfiducia tra cittadini e organizzazioni politiche risale ai processi sociali e politici iniziati con, e proseguiti dopo, la dissoluzione della Jugoslavia. In questo contesto, i plenum – una forma democratica di assemblea e di processo decisionale, nata all’interno delle università e promossa dagli studenti – possono essere letti come un tentativo di ricostruire la fiducia nei processi democratici. Rappresentano anche un modo per coinvolgere una parte più ampia della popolazione nella “politica”, intesa non come competizione tra partiti, ma come assunzione collettiva di responsabilità nella vita sociale.
Con il tempo, i plenum – che si basano sul principio della democrazia direttasi sono estesi oltre le università e il movimento studentesco, e sono stati adottati da gruppi di cittadini sotto forma di assemblee di quartiere o di città, spesso chiamate zborovi (assemblee cittadine). Lo sviluppo e la diffusione dei plenum possono quindi essere interpretati come uno sforzo più ampio per ricostruire la fiducia nella cura collettiva e nei processi decisionali sul futuro della società. Tutto questo ha portato, tra le altre cose, alla creazione di una sorta di filtro nei confronti dei partiti politici, dei sindacati e dei cosiddetti “individui politici”. Questo filtro potrebbe, in futuro, determinare quali individui e organizzazioni saranno in grado di riconquistare la fiducia pubblica – e, attraverso questo processo, contribuire a costruire una nuova realtà politica.
È inoltre importante sottolineare che, accanto ai plenum, alle assemblee cittadine (zborovi) e agli organizzatori studenteschi e cittadini, un fattore cruciale del movimento di protesta è stato il potere virale dei social media. Queste piattaforme hanno permesso di comunicare e coordinare eventi e azioni in tempo reale. Gli studenti hanno rapidamente creato profili social propri, seguiti da un ampio numero di cittadini. In questo modo, hanno di fatto assunto il ruolo tradizionalmente svolto dai media mainstream – la maggior parte dei quali, con poche eccezioni, è sotto il controllo dello Stato o dei partiti al governo.

4. Sui media occidentali, molto spesso la Serbia, viene descritta come un paese diviso socialmente tra città grandi o medio grandi, che sono poche e sono quelle in cui si costruiscono le lotte, le mobilitazioni e le campagne ed i piccoli paesi che sono conservatori e reazionari. Questo movimento, a noi sembra che abbia spezzato questo dualismo, riuscendo a coinvolgere una gran parte della popolazione.
È così? 

La Serbia è in effetti un paese fortemente centralizzato, con gran parte dell’attenzione concentrata sulla capitale, Belgrado, che genera circa il 50% del PIL nazionale. Naturalmente, il PIL è una misura imperfetta, ma in assenza di un indicatore migliore, può servire a indicare il profondo squilibrio economico (e ovviamente anche di potere) del paese.
Già prima dell’attuale ondata di proteste, la maggior parte delle manifestazioni dell’ultimo decennio si concentrava nelle città più grandi. La percezione diffusa era che Belgrado – come centro economico e amministrativo dominante – fosse l’arena chiave per il cambiamento. La regola non scritta era: se non succede a Belgrado, allora non è davvero successo.
Quello che è cambiato negli ultimi nove mesi è proprio questa dinamica. Le proteste si sono svolte non solo a Belgrado e in alcune altre grandi città come Novi Sad, Niš e Kragujevac, ma anche in cittadine in tutto il paese – compresi piccoli villaggi con solo qualche centinaio di abitanti. Questo fatto, da solo, dice molto sulla più ampia situazione sociale e politica in Serbia oggi.

5. Riprendendo un po’ la domanda precedente, vorremmo sapere qual è la composizione sociale della lotta e soprattutto se e come è cambiata dall’inizio in questi mesi. 

È estremamente difficile classificare la popolazione che partecipa alle proteste e alla più ampia lotta – sia attivamente sia tramite un sostegno passivo – secondo qualsiasi struttura sociale o di classe tradizionale. Forse la descrizione più accurata sarebbe: un campione trasversale dell’intera società.
Studenti, agricoltori, professori, operai, piccoli imprenditori e persino alcune grandi aziende hanno pubblicamente sostenuto e preso parte alle proteste. Un aspetto particolarmente sorprendente del movimento è la presenza di gruppi e individui solitamente posizionati agli opposti dello spettro ideologico: anarchico-sindacalisti, attivisti per i diritti LGBT, cittadini conservatori e nazionalisti, progressisti di sinistra, monarchici, liberali e altri ancora.
Questa diversità ideologica è, in un certo senso, una risposta diretta alla strategia politica del partito al potere – una sorta di “politica Frankenstein” che tenta di occupare contemporaneamente tutti i terreni ideologici. In modo paradossale, l’ideologia sembra essere allo stesso tempo assente e onnipresente.
L’unico punto di stabilità condiviso da tutti i partecipanti è la richiesta di elezioni libere e democratiche e per lo stato di diritto. Solo in queste condizioni di base le differenze ideologiche e politiche possono essere riportate in modo significativo a un campo politico strutturato e pluralista.

6. Qual è stato e qual è il ruolo degli studenti e delle studentesse universitarie all’interno del movimento? E in particolare, qual è stato e qual è il ruolo di Led Art sia a Novi Sad che a livello nazionale?

È del tutto corretto e responsabile affermare che il movimento studentesco rappresenta la spina dorsale politica, etica e persino estetica delle proteste. Il semplice fatto che i giovani – dopo tanti anni – si siano così attivamente impegnati nel loro futuro politico e sociale ha conferito gran parte della forza alle proteste. Per molti cittadini, che erano caduti nell’apatia e nella rassegnazione, questa mobilitazione guidata dai giovani ha risvegliato sia la volontà sia la speranza che un diverso tipo di realtà sociale sia possibile.
Per decenni – oltre trent’anni, in realtà – un gran numero di giovani in Serbia ha cercato il proprio futuro all’estero, costruendo una sorta di distacco passivo dalla società in cui vivevano. I traumi degli anni ’90 e le transizioni caotiche degli anni 2000 hanno ulteriormente radicato la narrazione che un cambiamento significativo fosse impossibile.
Il movimento studentesco non solo ha fatto rinascere la speranza, ma ha anche articolato le questioni più pressanti che devono essere affrontate per rendere nuovamente immaginabile qualsiasi tipo di futuro.
L’organizzazione a cui appartengo, Led Art, è presente sulla mappa artistica della Serbia sin dai primi anni ’90. È stata fondata sul principio – e sullo slogan – “etica prima dell’estetica” . Fin dalla sua nascita, Led Art ha lavorato per il ripristino della responsabilità sociale, la critica del nazionalismo e la partecipazione attiva al movimento contro la guerra degli anni ’90.

Nel contesto attuale, oltre a sostenere gli studenti nella loro lotta per cambiare la società – offrendo spazi per le loro mostre, raccogliendo fondi per aiutare sia studenti sia personale universitario che ha perso il lavoro – abbiamo deciso, come collettivo artistico, di sospendere l’attività della nostra galleria. Questa galleria, che gestiamo da oltre un decennio, è stata uno dei principali fulcri della nostra attività. Riteniamo che, in un momento come questo in Serbia, non sia semplicemente possibile continuare “come se nulla fosse”.
Allo stesso tempo, siamo membri dell’Associazione della Scena Culturale Indipendente della Serbia, che riunisce un’ampia gamma di organizzazioni e individui attivi nel settore delle arti e della cultura indipendenti. L’associazione sta cercando, attraverso questo momento, di trovare modi non solo per unire i lavoratori e le organizzazioni culturali indipendenti, ma anche per costruire ponti tra i lavoratori culturali della scena indipendente e quelli impiegati nelle istituzioni pubbliche, al fine di perseguire una lotta comune.
E infine, tutti noi – compresi i membri del nostro collettivo – siamo anche cittadini. In quanto tali, crediamo sia sbagliato trasformare una vera protesta in un’opera d’arte simbolica che possa poi essere convertita in un prodotto commerciabile nel mondo dell’arte. Per questo siamo in piazza come cittadini – marciando, rivendicando, manifestando solidarietà.

7. In questi mesi il movimento ha allargato molto il discorso sociale e politico di critica complessiva al potere al governo. Quali sono i problemi più importanti in Serbia e quali sono le rivendicazioni del movimento?

Il movimento è nato inizialmente da una richiesta di giustizia e di assunzione di responsabilità per la tragedia avvenuta a Novi Sad. Tuttavia, dopo mesi di proteste e di fronte all’incapacità della magistratura di rispondere in modo adeguato – insieme alla costante pressione pubblica – il movimento studentesco, che oggi rappresenta l’unica autorità etica e politica rimasta nel paese, si è visto costretto a formulare una richiesta più ampia: l’indizione di elezioni come possibile via d’uscita dalla crisi sociale, politica e istituzionale.
Naturalmente, questa richiesta va ben oltre l’aspetto procedurale. Simbolicamente, rappresenta un appello a tutti i cittadini a decidere se desiderano una nuova forma di politica. In questo senso, si tratta di una richiesta di cambiamento radicale del paradigma politico – un allontanamento da un modello che, da oltre 35 anni, si fonda su clientelismo, neoliberismo e corruzione sistemica.
Certo, una parte della società serba guarda con preoccupazione all’eterogeneità ideologica di una possibile lista elettorale sostenuta dagli studenti. C’è il timore che possa riunire persone con visioni profondamente divergenti sul futuro del paese. Ma, d’altro canto, c’è una crescente e razionale consapevolezza del fatto che solo una lista realmente pluralista – capace di unire correnti diverse e perfino conflittuali – potrebbe avere la forza di portare avanti le riforme di base necessarie per ristabilire un quadro democratico fondato su valori condivisi.
Più in generale, la Serbia si trova in uno strano limbo: sospesa tra l’adesione e la non-adesione all’Unione Europea; bloccata in una transizione caotica e senza fine verso il capitalismo, segnata da diffuse violazioni dei diritti dei lavoratori; e ancora gravata dall’eredità dei conflitti etnici degli anni ’90 nella ex Jugoslavia.
Tutto questo ha contribuito all’emergere di quella che viene spesso definita “stabilocrazia”. La Serbia non è né pienamente autoritaria né autenticamente democratica; non fa parte dell’UE, ma è ancora coinvolta nei negoziati di adesione; mantiene legami politici ed economici sia con la Cina e la Russia, e con i paesi occidentali. La stabilocrazia in stile serbo è così diventata l’assetto ideale per tutti gli attori esterni – perché consente di prendere decisioni su risorse e flussi di capitale in modo più semplice (e spesso più opaco) rispetto a quanto sarebbe possibile in un paese con istituzioni solide e stato di diritto. In altre parole, è l’ambiente perfetto perché la corruzione locale e internazionale prosperi sotto la copertura di una presunta “stabilità” politica.

8. Ad oggi, luglio 2025, com’è la situazione in Serbia, sia dal punto di vista del potere che dal punto di vista delle lotte e delle iniziative? Inoltre – al di là dei risultati specifici e concreti ottenuti o che si otterranno – quali sono, secondo voi, le cose più importanti che ha costruito il movimento in questi mesi e che rimarranno nel futuro?

Probabilmente il contributo più significativo delle proteste è stato quello di creare una “frattura” nella matrice dominante attraverso cui la vita sociale e politica è stata finora percepita dalla maggior parte dei cittadini.
Indipendentemente dall’esito finale – ed è naturale che un movimento perda slancio dopo nove mesi di mobilitazione continua, a causa dell’enorme stanchezza psicologica, materiale ed emotiva – ciò che è certo è che la fiducia nell’importanza dell’impegno civico e politico è tornata a far parte della sfera pubblica.
Le varie nuove connessioni e iniziative che sono emerse, e continuano a emergere, offrono la possibilità di formare nuovi tipi di socialità – e quindi, le basi per nuove forme di politica fondate sulla pluralità, la democrazia e la solidarietà.
Un altro risultato cruciale è la rinnovata consapevolezza, in un gran numero di cittadini, dei diritti dei lavoratori e dell’importanza di organizzarsi a livello di collettivi, università e comunità locali. Questo tipo di consapevolezza era stata a lungo trascurata, specialmente dopo il crollo del modello socialista esistito nella ex Jugoslavia.

9. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi sono previste ulteriori mobilitazioni, forme di protesta e di lotta? 

Dopo oltre nove mesi di mobilitazione continua, è ormai chiaramente visibile un certo livello di stanchezza. Nonostante ciò, le proteste proseguono – seppure su scala significativamente ridotta. L’affaticamento psicologico tra i partecipanti, ma anche all’interno di alcune componenti del sistema di governo, come l’apparato di polizia, è evidente e diffuso.
Questa situazione lascia intravedere due possibili scenari per il prossimo futuro. Il primo è che le proteste si esauriscano completamente nella loro forma attuale. Il secondo – che appare più probabile – è che, dopo i mesi estivi (che in Serbia, come in molte parti d’Europa, sono segnati da incendi estremi e ondate di calore che comportano seri rischi per la salute), le proteste riprendano con nuova energia in autunno.
Questa fase rinnovata potrebbe prosciugare ulteriormente le risorse del governo e, potenzialmente, costringerlo a indire elezioni come via più logica per uscire da una crisi sempre più profonda.

(Traduzione intervista a cura di Viola Grilli)

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