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Gaza, il cessate il fuoco visto dalla Striscia e dalla West Bank

La testimonianza dalla Giordania di Meri Calvelli, cooperante Acs, direttrice Centro Vik – Gaza

Dopo la gravissima violazione nella notte fra martedì e mercoledì, con i pesanti bombardamenti dell’aviazione militare dell’Idf che hanno colpito l’intero territorio della Striscia di Gaza, causando la morte di oltre un centinaio di civili, il cessate il fuoco risulta ancora in vigore.

“Questa Nakba non è ancora finita”. La situazione sul campo rimane segnata dagli impegni disattesi da parte israeliana nel quadro dell’intesa: si registrano attacchi dell’aviazione, colpi di artiglieria, demolizioni e uccisioni nelle zone circostanti la linea gialla, che il governo sionista minaccia di estendere. L’ingresso degli aiuti umanitari, sebbene sia stato incrementato rispetto ai primi giorni, rimane molto al di sotto dei livelli minimi di fabbisogno richiesto, così come le forniture sanitarie non riescono a supplire alle necessità di un sistema ospedaliero ridotto a un terzo della sua operatività. I corridoi umanitari sono ancora bloccati, come il rilascio dei visti per il canale universitario, fatta eccezione per i pochi borsisti dell’iniziativa Iupals, che non possono comunque viaggiare con i familiari. Il valico di Rafah ancora chiuso.

In Cisgiordania la pressione militare si è intensificata in un territorio dove gli spostamenti sono resi quasi impossibili dall’irrigidimento delle misure di sicurezza e dal confinamento imposto con lo stato di emergenza dall’ottobre 2023, con città e villaggi chiusi da blocchi di cemento e barriere di metallo. Le mire espansionistiche e di annessione da parte dello stato ebraico occupante vengono contrastate sul piano diplomatico, mentre sul terreno le bande di coloni armati agiscono impunemente e coperte dall’esercito: sono oltre un migliaio le vittime e 10mila i feriti in due anni in West Bank.

L’attuale stagione della raccolta delle olive è sotto bersaglio, sono quasi 160 gli attacchi registrati ai danni di contadini palestinesi. La produzione di olio di oliva si è ormai ridotta del 75% in Palestina, con migliaia di alberi abbattuti ed estirpati solo negli ultimi anni. Il progetto di cooperazione Olivi – Cultura di Pace in Palestina‘ crea un gemellaggio fra agricoltori italiani e palestinesi “per rafforzare il mutualismo e il cooperativismo, promuovendo la collaborazione e la solidarietà dal basso”.

“Dove cresce un ulivo, resiste un popolo”: la mobilitazione della solidarietà internazionale deve proseguire “fino ad imporre alle istituzioni internazionali giustizia, pace e libertà per il popolo palestinese”.

– Ascolta l’intervista con Meri Calvelli, cooperante Acs e direttrice del Centro italiano di scambi culturali – Vik a Gaza

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