Oltre un milione, insieme, per riconoscersi nella resistenza palestinese
Il racconto della storica manifestazione di sabato 4 ottobre a Roma
Che si attendesse una manifestazione imponente lo si poteva respirare nell’aria nuova che da giorni sta spazzando il paese.
Nell’ondata di spontanea partecipazione di massa alle centinaia di appuntamenti che hanno scandito queste ultime settimane, nelle piazze stracolme delle città investite dalla giornata di sciopero generale il giorno precedente, culmine di una mobilitazione che sta salendo di intensità.
I segnali della vigilia si riflettono nella fibrillazione organizzativa, nelle richieste di prenotazione dell’ultim’ora, nei posti esauriti sugli autobus, nei mezzi che si reperiscono d’urgenza per provare a soddisfare una domanda crescente. Alla fine sabato mattina saranno dieci i pullman in partenza dalle Marche, solo considerando quelli organizzati dai Centri Sociali insieme all’Usb, senza contare i tanti gruppi che in autonomia si sono mossi in treno o in auto.
Il profilo muscolare col quale si è mostrato il dispositivo di gestione dell’ordine pubblico non ha che palesato l’estrema debolezza e impotenza degli apparati di potere nel rapportarsi ad un fenomeno inedito di attivazione e partecipazione politica. I posti di blocco ai caselli autostradali, i controlli sui treni e alle stazioni, le perquisizioni, le pratiche intimidatorie verso i manifestanti sono state travolte dall’enorme mole di partecipanti.
Lo stesso ‘sequestro di massa’ al casello di Roma Nord si è rivelato assolutamente inconsistente di fronte alla reazione autorganizzata delle centinaia di persone presenti che in pochi minuti sono riuscite a liberarsi da un fermo collettivo preventivo illegittimo.
I cordoni di sicurezza allestiti sulle vie adiacenti al percorso sono finiti al margine dallo straripare di una mare umana che si è riversata nel centro della capitale. Blindati, idranti e agenti antisommossa che son tornati poi in scena al calar della notte, con provocazioni intenzionali, cariche ingiustificate e tentativi di accerchiamento verso giovani e giovanissimi militanti, che hanno reagito difendendosi. Il bilancio finale sarà di 262 fermati e di 2 arrestati, poi rilasciati lunedì dopo il processo per direttissima.
La straordinarietà della giornata si misura anche sulla puntualità della partenza del corteo, sospinto dalla massa di persone che affollano Piazzale Ostiense. Un corteo che abbiamo definito ‘impossibile’, perchè quest’immensa massa di persone non poteva essere contenuta e si è presa in modo capillare, col trascorrere delle ore, l’intera città.
I manifestanti giunti dalle Marche hanno dato vita ad almeno due spezzoni differenti, creatisi in punti diversi del percorso, sulla base dell’orario di arrivo, dopo i ritardi dovuti ai serrati controlli, poi scardinati. Il primo, dal concentramento fino all’altezza del Colosseo, il secondo da qui fino a Piazza San Giovanni. Non era sufficiente il tempo a disposizione per compiere l’intero tragitto, troppo congestionate le strade, ogni metro accessibile veniva occupato, marciapiedi, muretti, terrapiedi, statue e opere monumentali.
Una manifestazione che si è trasformata in un’invasione umana della capitale, una giornata storica per affermazione politica e partecipazione popolare, come non accadeva da più di vent’anni.
La piazza collettiva che ha espresso il culmine della sollevazione di popolo che da più di una settimana attraversa il paese, prendendosi le strade, agendo lo sciopero, bloccando tutto – anche a Roma sabato – stravolgendo la quotidianità imposta da chi normalizza un genocidio.
La sensazione condivisa di un momento memorabile, di essere parte di un’onda che sta salendo, di essere al principio di quanto non era ancora stato, ma di ciò che sarà.
L’esplosione di un movimento, scatenata dalla miccia accesa del fuoco della resistenza che in Palestina tiene testa alla barbarie dell’occupazione, dell’apartheid, del colonialismo d’insediamento sionista.
Quel fuoco della resistenza capace di liberare una nuova spinta al cambiamento, alle latitudini occidentali del mondo, in un paese che più degli altri ha sofferto della profonda crisi sociale nell’Europa in declino.
Un paese risvegliatosi attraversato da uno slancio collettivo di insubordinazione, che apre a possibilità inesplorate per i processi di trasformazione. “Non è il mondo a liberare la Palestina, ma la Palestina a liberare il mondo”, sta a noi tenere il fuoco acceso, alimentarne il furore, mirare alla sconfinata prateria.
– Roma, 4 ottobre. L’intervento dei Centri Sociali Marche in piazza San Giovanni